LAUREATE IN ITALIA: PRIME DELLA CLASSE MA NON NEL MERCATO DEL LAVORO

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Il Rapporto su laureate e laureati di Almalaurea, che per la prima volta dedica un documento specifico sui divari di genere in università, richiama l’attenzione su due aspetti caratterizzanti dell’università e del mercato del lavoro italiano (e non solo): la migliore performance delle studentesse rispetto a quella degli studenti, in termini di voti e di tempo di completamento degli studi, e il divario di genere a favore degli uomini sul mercato del lavoro.

Migliori sui banchi… Secondo i dati Almalaurea, nel 2020 quasi il 60 per cento di chi ha conseguito una laurea in Italia era una donna, con un voto medio di 103,9/110 contro il 102,1/110 degli uomini. I dati sulle laureate sono ancora più positivi se si considera che il 28,3 per cento di loro proviene da una famiglia in cui almeno uno dei genitori abbia una laurea (contro il 34,3 per cento dei laureati) e solo il 21 per cento appartiene alla classe di reddito più elevata, contro il 24,5 per cento dei ragazzi. Un segnale che le famiglie delle ragazze investono nella loro istruzione, anche quando non siano già presenti laureati in famiglia.

Un altro dato sul successo delle donne nell’accademia arriva dal rapporto She Figures 2021 della Commissione europea e riguarda la quota di studentesse che ottengono un dottorato: 50,5 per cento nel 2018, in sostanziale parità con gli uomini e al di sopra della media europea, dove la proporzione uomini/donne è 51,9/48,1 per cento.

Se si vanno a guardare le statistiche sui percorsi intrapresi, però, si conferma un divario tra le discipline scelte: solo il 18,9 per cento delle studentesse consegue il titolo in una materia Stem, contro il 39,2 per cento degli uomini. Il divario si riduce guardando ai dottorati: il 23 per cento delle donne che ha ottenuto un dottorato nel 2018 lo ha conseguito in ambito Stem contro il 25,63 per cento degli uomini. Un dato più o meno in linea con la media europea.

… ma indietro sul lavoro. Sul mercato del lavoro la situazione si capovolge: le donne hanno esiti occupazionali di gran lunga peggiori rispetto a quelli degli uomini. A cinque anni dalla laurea di primo livello, il tasso di occupazione degli uomini è pari a 92,4 per cento, contro l’86 per cento delle donne, risultati confermati anche dagli esiti occupazionali per le lauree di secondo livello. Questo divario, peraltro, si amplia in presenza di figli: senza considerare coloro che già lavoravano al momento della laurea, il tasso di occupazione tra i laureati di primo livello con figli è di 26,8 punti percentuali superiore a quello delle laureate (21,3 tra i laureati di secondo livello).

Il divario si ripete anche nelle retribuzioni: a cinque anni dalla laurea, le laureate di primo livello guadagnano 277 euro netti in meno al mese rispetto ai laureati (1374 contro 1651 euro) e 275 euro in caso di laurea di secondo livello (1438 contro 1713 euro). Con un titolo di studio superiore, le laureate di secondo livello guadagnano comunque 213 euro in meno dei laureati di primo livello.

Si potrebbe argomentare che i percorsi di studio scelti con maggiore frequenza dalle ragazze, anche per condizionamenti che hanno luogo ben prima della scelta dell’università, abbiano rendimenti minori sul piano occupazionale e retributivo. Ma il rapporto Almalaurea mostra che, anche in gruppi di studenti che frequentano gli stessi corsi, ottengono gli stessi risultati e indicano ambizioni simili (per esempio maggiore interesse per la carriera piuttosto che per la famiglia), le laureate continuano ad avere prestazioni peggiori rispetto a quelle dei laureati sul mercato del lavoro. Questo suggerisce che, per quanto l’area di studio sia importante, non esaurisce le spiegazioni della disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro.

L’esempio del settore della ricerca. Concentrandoci su un particolare segmento del mercato del lavoro che è quello della Ricerca e Innovazione, possiamo usare i dati del già citato rapporto She Figures per indagare ulteriormente l’ampiezza del fenomeno. Sebbene, come detto, il 50,5 delle persone che ottengono un dottorato sia donna, in Italia nel 2018 le donne costituivano il 34,3 per cento della popolazione totale di ricercatrici e ricercatori (32,8 per cento a livello Ue27).

Concentrandosi sulla carriera accademica, la presenza femminile scende guardando alle posizioni apicali. In Italia, le donne che ricoprivano il ruolo di Professore Ordinario nel 2018 erano il 23,7 per cento del totale, un dato minore della media europea (26,2 per cento). Guardando solo al settore di ingegneria e tecnologia, le donne rappresentavano solo il 13,8 per cento del totale. Il divario di genere nella carriera accademica, però, non riguarda solo le materie scientifiche: anche nelle materie umanistiche (humanities), in cui la presenza di studentesse è di gran lunga superiore a quella degli studenti, le donne che raggiungono il livello di ordinario sono solo il 37,4 per cento del totale.

Raggiungere i vertici per le donne, dunque, non è solo una questione di numeri (quante sono) e voti (quanto brave sono). (lavoce)