Il ministero dell’Istruzione ha annunciato che in alcune scuole superiori si sperimenterà la riduzione di un anno del percorso scolastico. Se ne discute da tempo, ma ora sarebbe più opportuno occuparsi della perdita di apprendimenti causata della pandemia.
La lunghezza del percorso scolastico. La durata del percorso scolastico in Italia e l’organizzazione dei cicli (attualmente, quello primario è costituito da primaria e secondaria di I grado, mentre il secondo ciclo dalla secondaria di II grado) sono stati al centro di un acceso dibattito almeno dall’inizio del secolo, con il fallito tentativo di riforma del ministro Berlinguer, che prevedeva di abolire la scuola media, come è formalmente denominata la secondaria di I grado. La discussione non ha finora portato ad alcun esito concreto per l’impossibilità di contemperare le esigenze contrapposte dei vari gruppi del personale della scuola e per le diverse visioni pedagogiche sottese ai modelli. Il dibattito è però destinato a riprendere vigore dopo che il ministero dell’Istruzione ha annunciato che, fra le misure legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza, si sperimenterà anche una riduzione della durata del secondo ciclo.
Uno dei diversi elementi che determinano la durata degli studi è naturalmente l’età in cui terminano. La vulgata del dibattito nostrano è che negli altri paesi la scuola si concluda a 18 anni e che, pertanto, gli studenti italiani, finendo a 19, siano penalizzati nell’accesso al mercato del lavoro rispetto ai loro coetanei europei.
In realtà, è un ragionamento semplicistico: quello che conta non è tanto l’età a cui si ottiene il diploma, ma il numero complessivo di anni di istruzione ricevuti e la qualità degli apprendimenti e quindi, a fortiori, anche l’età di inizio della scuola. Per quel che riguarda l’età iniziale, la situazione europea è molto variegata: il livello Isced 1, corrispondente alla nostra primaria, inizia a 4 anni in Irlanda del Nord, a 5 nel resto del Regno Unito (dove però non vi è un obbligo statale e spetta quindi ai genitori decidere quando far iniziare la scuola ai figli), 6 nella maggior parte del continente e 7 anni in alcuni paesi scandinavi. L’età di conseguimento del diploma vede due gruppi più o meno equivalenti di paesi: nel primo gli studenti terminano a 18 (comprende Francia, Paesi Bassi e Regno Unito), nell’altro a 19 (noi e i paesi del Nord Europa). In mezzo, vi è l’età dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, che è quasi ovunque 16 anni, tranne che in Germania e Olanda.
Non è quindi vero che dal punto di vista degli anni di scuola l’Italia sia un’anomalia: 13 anni è una durata frequente in Europa. Sarebbe comunque interessante – anche se richiederebbe un’indagine specifica – capire se il gradimento degli studenti nei confronti della scuola cala significatamene nel passaggio dal quarto al quinto anno di scuola secondaria: non è raro sentire ragazzi, ormai diventati maggiorenni, lamentarsi dalle eccessive limitazioni imposte dalla vita scolastica all’ultimo anno.
Diplomati a 18 anni. Anche se gli studenti italiani non trascorrono un numero eccessivo di anni a scuola – e vale sempre la pena ricordare che una delle poche affermazioni su cui tutti gli studiosi concordano è che ogni anno di istruzione in più porta sensibili benefici individuali e collettivi – l’ipotesi di anticipare a 18 anni il termine degli studi merita considerazione, ma anche senso critico. La questione era stata affrontata dal ministro Francesco Profumo che nel 2012 aveva istituito una commissione di studio, con il mandato di “fissare ai 18 anni l’età del completamento del ciclo di istruzione scolastica lasciando invariate le risorse umane e materiali attuali e mantenendo l’impegno generale al miglioramento degli esiti di apprendimento”. Purtroppo, dopo l’uscita di scena del governo Monti, gli esiti del lavoro non sono mai stati resi pubblici.
È comunque facile immaginare che la discussione sia ruotata intorno a due ipotesi principali: una traslazione dell’attuale sistema a partire da un anticipo ai cinque anni, sacrificando l’ultimo anno di scuola dell’infanzia; una contrazione a quattro anni della secondaria di II grado. La prima strada è più facilmente percorribile, poiché la percentuale di bambini che frequenta l’ultimo anno di scuola materna è superiore al 90 per cento. Incontra però l’opposizione di pedagogisti preoccupati che gli allievi non siano sufficientemente maturi per anticipare di un anno passaggi cruciali come quelli alla media e alle superiori (mancano però evidenze empiriche che confermino questa opinione) e, naturalmente, delle docenti dell’infanzia. La seconda strada porterebbe a significativi risparmi in termini di minori cattedre (valutabile in oltre 1 miliardo di euro a regime), ma richiederebbe un profondo (e peraltro necessario) ripensamento dei curricoli delle superiori. Un tentativo interessante di accorciamento di un anno della scuola superiore è stato fatto in Ontario nel 2013. La provincia canadese aveva offerto agli studenti la possibilità di terminare l’high school dopo quattro anni oppure di compiere un victory lap, frequentando un quinto anno se ritenessero di dover rafforzare le loro competenze prima dell’università. Pur giudicata favorevolmente dall’Ocse, la riforma è stata abbandonata dopo un paio di anni, a causa delle poche adesioni all’opzione quadriennale. Rimane intrigante l’idea di lasciare allo studente la scelta sugli anni di frequenza, abbinata ovviamente al raggiungimento di un certo numero di crediti, come all’università. Va però anche detto che, dopo un certo lasso di tempo, gli studenti finirebbero facilmente con il dividersi fra il gruppo dei “rapidi” e quello dei “lenti”, con effetti sulla loro reputazione accademica.
In Italia, nell’anno scolastico 2018-2019 è stata avviata una sperimentazione in 192 scuole superiori, di cui 65 paritarie (con 144 licei e 48 istituti tecnici), che prevede il completamento della scuola secondaria di secondo grado in quattro anni. Di questa sperimentazione si sono perse le tracce, nel senso che non sono mai stati pubblicati risultati intermedi, in attesa del completamento a giugno 2022. Sarà comunque difficile ottenere indicazioni precise sull’efficacia della contrazione degli anni: non è stato infatti previsto dall’inizio un piano di valutazione di impatto scientificamente rigoroso che evitasse il rischio, molto concreto, che gli studenti che si sono iscritti al liceo di quattro anni costituiscano un gruppo selezionato per abilità o retroterra famigliare. Prima che la sperimentazione termini e ne vengano in qualche modo monitorati gli esiti, il ministro Bianchi ha comunque annunciato la volontà di estenderla dal prossimo anno scolastico ad altre mille scuole: decisione che suscita qualche dubbio di metodo e di merito, in una fase in cui avrebbe più senso concentrarsi sulla perdita di apprendimenti causata della pandemia. (lavoce – andrea gavosto))