Henry van Dyke, pastore della Chiesa presbiteriana, scrittore, insegnante universitario e diplomatico americano di origine olandese, nel 1896 scrisse un famoso racconto intitolato La storia del quarto Re Magio di Henry van Dyke (The Other Wise Man) in cui narrava le avventure di Artaban, il quarto Re Magio, il primo dei cristiani. Buona lettura e buona festa dell’Epifania.
Nei giorni in cui Cesare Augusto era signore di molti re ed Erode regnava a Gerusalemme, viveva nella città di Ecbatana, fra le montagne della Persia, un uomo chiamato Artaban. Vicino alla sua casa, si poteva vedere l’altura su cui il palazzo degli imperatori dei Parti scintillava come un gioiello.
In una notte di tardo settembre, un vago chiarore illuminava la sontuosa stanza dove Artaban doveva tenere consiglio con i suoi amici. Alto, con gli occhi luminosi e un’ampia fronte, l’uomo indossava un mantello di pura lana bianca, gettato su una tunica di seta e un cappuccio bianco a punta con lunghi lembi che cadevano ai lati sui capelli neri e fluenti. Era l’abito degli antichi sacerdoti: i Magi. “Benvenuto”, diceva a ciascuno degli ospiti, man mano che entravano nella stanza.
Gli uomini erano nove, di età molto diversa, ma tutti riccamente vestiti di sete variopinte e portavano collane d’oro massiccio che indicavano la loro nobiltà di Parti e recavano sul petto un aureo cerchio alato. “Vi ho riuniti – iniziò Artaban – per parlarvi della nuova luce e della nuova verità che sono giunte a me attraverso i più antichi di tutti i segni: le stelle”. Trasse da sotto la tunica un rotolo di tela finissima, coperta di fitta scrittura, lo spiegò con cura e lesse: “Verrà una stella da Giacobbe e uno scettro sorgerà da Israele.”. E ancora: “Dal giorno del comandamento di ricostruire Gerusalemme fino alla venuta del Principe, passeranno sette e settanta e due settimane”.
Allora un Magio prese la parola: “Ma questa è una profezia dai numeri misteriosi. Chi può interpretarla e trovare la chiave che ne schiuda il significato?”. Artaban rispose: “E’ stata mostrata a me e ai miei tre compagni Magi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Noi abbiamo studiato e calcolato il tempo: cade quest’anno. Studiando il cielo, nella primavera scorsa vedemmo una nuova stella, che brillò per una notte e poi scomparve. Se i nostri studi non ci ingannano, stanotte dovrebbe ricomparire: i miei tre fratelli vegliano in Babilonia e io veglio qui. Se la stella splenderà di nuovo, essi mi aspetteranno dieci giorni al tempio delle Sette Sfere, io li raggiungerò e partiremo insieme per Gerusalemme, per vedere e adorare Colui che è promesso e che sarà Re di Israele. Io credo che stanotte il segno verrà e mi sono preparato al viaggio: ho venduto la mia casa e i miei possedimenti e ho comprato tre gioielli, uno zaffiro, un rubino e una perla, per portarli come doni al nuovo Re”.
E traendo dalla sua tunica le tre grosse gemme, una azzurra come il cielo notturno, una rossa come un raggio di sole nascente, una bianca e pura come la vetta di un monte nevoso, concluse chiedendo: “Volete venire anche voi con me, in pellegrinaggio, per avere la gioia di trovare il Principe degno di essere servito?”.
Artaban è abbandonato dagli amici. I Magi lo guardavano con stupore e disapprovazione. Dubbio e diffidenza affiorarono sui loro volti. Poi uno parlò: “Artaban, questo è un sogno vano, nato dal guardare troppo le stelle. Sarebbe più opportuno occuparsi delle cose che ci sono più vicine e accrescere l’influenza dei Magi nel paese, invece che aspettare Uno che potrebbe essere straniero e al quale dovremmo cedere il nostro potere. Nessun Re sorgerà mai da Israele. Chi l’aspetta è un cacciatore di ombre. Addio!”. E con fare risoluto uscì dalla stanza. Così fecero gli altri, uno per uno, adducendo le più svariate motivazioni: “io non sono fatto per questa ricerca”, “io non posso lasciare la mia giovane sposa, né portarla con me in una pazza impresa”, “io non sto bene per intraprendere questo viaggio”.
Artaban rimase solo. Raccolse i gioielli, ripose il rotolo e uscì sulla terrazza per scrutare l’orizzonte: verso occidente il cielo ero limpido e Giove e Saturno splendevano vicini, come due fuochi. Mentre Artaban li guardava, una scintilla azzurra apparve sotto di essi, nelle tenebre, si circondò di uno splendore purpureo finché divenne una striscia rosseggiante fra sprazzi gialli e aranci. “E’ il segno”, disse. “Il Re viene e io vado ad incontrarlo”.
Di corsa verso Babilonia. Il primo incontro di Artaban. Artaban e Vasda, il suo cavallo più veloce, partirono prima dell’alba. Per raggiungere il luogo dell’appuntamento con i tre Magi a Babilonia, servivano almeno quindici ore di cavalcata al giorno. Arrivati in prossimità delle mura di Babilonia, Vasda si fermò all’improvviso davanti ad un’ombra. Era un uomo che giaceva per terra, senza sensi: uno dei poveri ebrei esiliati che ancora in gran numero dimoravano nei dintorni di Babilonia. Artaban gli prese la mano e quando la rilasciò, essa cadde inerte sul petto immobile. Fece per rimontare a cavallo, ma un debole sospiro uscì dalle labbra dell’uomo. Il cuore salì alla gola di Artaban: non era paura, ma preoccupazione per l’improvviso ritardo all’appuntamento che lo aspettava. Poteva assistere quel moribondo? Se non si fosse presentato in orario, i Magi avrebbero pensato che egli avesse abbandonato l’idea del viaggio e sarebbero partiti senza di lui. Ma se avesse proceduto, l’ebreo sarebbe sicuramente morto.Doveva evitare di seguire la stella, per dare un sorso d’acqua ad un povero morente? “Dio di verità e purezza – pregò –, guidami sulla via della Sapienza” e curvatosi sul malato, gli bagnò le labbra e gli inumidì la fronte. Poi gli somministrò un sorso di una potente erba medica che portava sempre con sé.
Presto l’ebreo si riebbe e subito chiese al suo soccorritore: “Chi sei?”. “Sono Artaban, Magio della città di Ecbatana. Vado a Gerusalemme in cerca di Uno che sta per nascere e che sarà Re di Israele. Non posso fermarmi di più perché la carovana che mi aspetta partirebbe senza di me, ma eccoti quanto resta del mio pane e del mio vino ed eccoti una porzione di erba risanatrice. Quando avrai ripreso le forze, potrai raggiungere la dimora degli ebrei fra le case di Babilonia”. L’ebreo levò le mani al cielo e disse: “Non ho nulla da darti in cambio, ma posso dirti dove cercare il Messia: i nostri profeti hanno detto che non nascerà a Gerusalemme, ma in Betlemme di Giudea. Il Signore ti conduca salvo in quel luogo, poiché hai avuto pietà dell’infermo”. La mezzanotte era passata da tempo. Artaban e Vasda cavalcavano rapidamente e presto arrivarono al tempio delle Sette Sfere. I Magi non c’erano. Al loro posto, sotto un mucchio di mattoni rotti, una pergamena diceva: “Abbiamo aspettato, ma non possiamo più indugiare. Seguici attraverso il deserto”
A Betlemme. Il secondo incontro di Artaban. Artaban sapeva che attraversare il deserto da solo non sarebbe stato facile, ma non si dette per vinto. Vendette il suo zaffiro, comperò un convoglio di cammelli e le provviste per il viaggio e si mise in cammino. Superò qualsiasi avversità non senza fatica, ma finalmente arrivò nei pressi di Betlemme. Si informò e gli fu detto che tre Magi erano arrivati e avevano visitato Maria, Giuseppe e il bambino Gesù, offrendo in dono oro, incenso e mirra. Poi erano ripartiti. Artaban ormai era certo di arrivare al cospetto del Re di Israele. Quando si addentrò nel villaggio, di cui l’ebreo da lui soccorso gli aveva parlato, trovò strade deserte, porte e finestre sbarrate, non un’anima viva.
Da una casa udì una donna singhiozzare: entrò e trovò una giovane madre che cullava suo figlio e piangeva. Gli raccontò della nascita di Gesù, della visita dei Magi, ma anche della fuga a cui la famiglia di Nazareth era stata costretta. “Si dice che siano corsi in Egitto, perché il bambino era in pericolo. Da allora, però, i soldati di Erode stanno devastando il nostro villaggio, per rapire e uccidere tutti i bambini”. Non fece in tempo a finire di pronunciare la frase che un cozzare di spade si levò dalla strada. La giovane madre sbiancò per il terrore, strinse a sé suo figlio e si nascose nell’angolo più buio della stanza. Artaban, invece, si piazzò sulla porta di casa e quando il soldato arrivò, il Magio non si scompose e sussurrò: “Io sono solo qui. Darò questa gemma al saggio soldato che mi lascerà in pace”. Il rubino scintillava nel cavo della sua mano come una grossa goccia di sangue. L’avido soldato prese la gemma e subito gridò agli altri: “Avanti! Qui non c’è nessun bambino!”. Il fragore delle armi si dileguò lontano e Artaban rientrò in casa e pregò: “Ecco, due dei doni sono andati. Ho speso per l’uomo ciò che era destinato a Dio. Sarò mai degno di vedere il volto del nuovo Re?”. Ma la voce della donna tremante di gioia disse: “Possa il Signore benedirti e proteggerti nel viaggio verso l’Egitto, perché hai salvato la vita del mio bambino”.
In Egitto. Tra le case disperse
In Egitto Artaban si aggirava tra la folla delle popolose città, in cerca delle tracce di quella famiglia fuggita da Betlemme. Cercò lungo il Nilo, tra i sicomori di Eliopoli, davanti alla Sfinge. Nella città di Alessandria un rabbi ebreo gli disse: “Il Re che cerchi non lo troverai in un palazzo, né tra i ricchi o i potenti. La luce che il mondo aspetta è una luce nuova: sorgerà dalla sofferenza paziente e trionfante. Fai bene a cercarlo tra i poveri e gli umili, gli addolorati e gli oppressi”. Così il Magio riprese il suo peregrinare fra le case disperse, dove la piccola famiglia poteva forse aver trovato rifugio. Attraversò paesi dove la carestia faceva strage e i poveri domandavano pane. Dimorò in città colpite dalla peste, visitò gli afflitti nell’oscurità delle prigioni. Non trovava nessuno da adorare, ma moltissimi da aiutare. Dava da mangiare ai malati, vestiva chi aveva freddo, curava gli infermi e confortava i prigionieri. Gli anni passavano velocemente e sembrava quasi aver dimenticato il motivo del suo peregrinare.
A Gerusalemme, dopo 33 anni di ricerca. Dopo 33 anni di ricerca, si ritrovò a Gerusalemme. Stanco, ormai anziano, sentiva di essere prossimo alla morte. Ma non voleva demordere nella ricerca del Re di Israele. Così cercò in tutti i viottoli della città, ma senza trovare traccia della famiglia di Nazareth. Era il tempo di Pasqua. Nella città si accalcavano stranieri, ma anche ebrei che raggiungevano la terra promessa per vivere lì la grande festa.
Quel giorno, però, la folla era in preda ad una grande agitazione: il cielo era cosparso di una strana caligine e tutti si muovevano in massa, come una marea. Artaban si unì ad un gruppo di gente del suo paese, Parti ebrei venuti in città per celebrare la Pasqua, e domandò quale fosse il motivo di tanto fermento. “Stiamo andando al Golgota, dove sta avendo luogo l’esecuzione di Gesù di Nazareth, condannato a morte dagli anziani e i sacerdoti perché si è spacciato come ‘Figlio di Dio’ e ‘Re dei Giudei’. Ma Gesù ha compiuto cose meravigliose ed è molto amato dalla gente”. Queste parole caddero improvvisamente sul cuore stanco di Artaban: il Re, quello che aveva atteso da una vita e cercato per 33 anni, era nato, ma era stato rinnegato e reietto ed ora stava per morire. Forse era già morto. Il cuore di Artaban batteva agitato: “Le vie del Signore sono più strane dei pensieri degli uomini. Può darsi che possa raggiungerlo in tempo e riscattarlo con la mia preziosa perla, prima che muoia”. Corse verso il Golgota, ma presto sentì le urla di una ragazza che veniva trascinata da una banda di soldati macedoni. Appena quella vide il vecchio Magio, riuscì a liberarsi e si gettò ai suoi piedi dicendo: “Pietà di me, salvatemi. Sono anch’io figlia della fede insegnata dai Magi. Mio padre era un mercante Parto, ma è morto e adesso io vengo arrestata per i suoi debiti e devo essere venduta come schiava. Ho riconosciuto il vostro vestito da Magio e il cerchio alato sul petto. Salvatemi, vi prego!”. Artaban tremò.
Per la terza volta era in procinto di raggiungere il Re che cercava da 33 anni e qualcuno di cui avere misericordia lo ostacolava ancora. Ormai, però, aveva imparato che un atto di amore vale più di ogni cosa e quindi trasse dal petto la sua ultima gemma e mise la perla nel palmo della ragazza. “Ecco il tuo riscatto, figliola. E’ l’ultimo dei miei tesori e lo tenevo per il Re”. Mentre parlava l’oscurità del cielo si faceva più cupa e scosse di terremoto attraversavano la terra, come alla fine del mondo. I soldati fuggirono terrorizzati, ma Artaban e la fanciulla da lui riscattata sedettero a terra.
La fine del viaggio. Il Magio non aveva più doni per il suo Re. La ricerca era ormai finita e la morte si avvicinava. Sapeva di aver fatto il meglio che poteva, giorno dopo giorno. Se non aveva trovato la Luce per cui si era messo in cammino 33 anni prima, era perché si era fatto prossimo di tutti e non si era mai tirato indietro dal compiere un gesto di amore verso chi aveva bisogno di lui.
Il terremoto delle tre del pomeriggio, mentre il Figlio di Dio stava morendo sulla croce, fece staccare una tegola che colpì la tempia di Artaban. Si accasciò sulla spalla della ragazza e si sentì una voce lieve e sommessa dalle parole indistinte. La fanciulla si guardò intorno ma non vide nessuno che avrebbe potuto parlare. Allora le labbra del vecchio cominciarono a muoversi come in risposta alla voce e la ragazza lo udì dire nella lingua dei Parti: “No, mio Signore! Quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? O assetato e ti detti da bere? Quando ti vidi straniero e ti accolsi presso di me? O nudo e ti vestii? Quando ti vidi malato o prigioniero e venni da te? Per una vita ti ho cercato, ma non ho mai visto il tuo volto, né mai ti ho servito, mio Re”. Quando tacque, la dolce voce tornò a farsi sentire.
Stavolta anche la ragazza poté comprendere quello che diceva: “In verità, io ti dico: ogni volta che lo hai fatto a uno solo degli ultimi di questi miei fratelli, l’hai fatto a me”. Uno splendore illuminò il volto di Artaban e le sue labbra esalarono, sorridendo, un ultimo sospiro di sollievo. Il viaggio era finito. I suoi tesori erano stati accettati. L’altro re Magio aveva trovato il Re.