L’ITALIA DEL TURISMO RIPARTE

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La domanda turistica mondiale continua a crescere del 5 per cento l’anno, soprattutto grazie alle economie emergenti, e privilegia prima le destinazioni domestiche, poi i paesi stranieri di prossimità all’interno delle macro-regioni continentali e, infine, per un importantissimo 20 per cento, i viaggi intercontinentali (120 milioni di cinesi hanno viaggiato all’estero nel 2015). Una delle destinazioni obbligate (“almeno una volta nella vita”) dei viaggi intercontinentali è certamente l’Italia, ma non tutta. In cima ai desideri dei nuovi turisti mondiali c’è Roma, poi le altre città storiche, ma anche le esperienze uniche che solo nel nostro paese si possono trovare e vivere. Tutto ciò, però, non riguarda molti dei nostri prodotti “maturi” (come terme, balneare o neve), sempre meno in grado di attrarre ospiti stranieri, meno che mai da altri continenti.
L’Europa in questo quadro continua a rappresentare per l’Italia il bacino di domanda estera più importante, anche se non ha più le potenzialità di crescita quantitativa di un tempo o che adesso mostrano le “economie emergenti”.
Certo, alcuni paesi – in particolare dell’Est Europa – cresceranno in termini di domanda di viaggi all’estero; a loro va però riservata una attenzione specifica, molto mirata alla esaltazione dello stile di vita italiano, che là risulta eccezionalmente apprezzato. Per quanto riguarda poi la domanda italiana di viaggi, il massimo assoluto del 2008 (107 milioni di vacanze) ha lasciato il posto a un tonfo ininterrotto di sette anni, che ha trovato solo nel 2015 i primi segnali di controtendenza, molto evidenti in particolare per le vacanze natalizie e l’Epifania (dati Federalberghi), e nelle previsioni di vacanza 2016 (il 42 per cento degli italiani “non vi rinunceranno” – dati Coop). Il mercato turistico domestico, che per decenni aveva rappresentato la grande forza delle nostre imprese esperte in fidelizzazione, sembra aver compiuto la propria parabola: sempre meno turismo di massa, sempre più una “massa di nicchie”.

Dal lato dell’offerta italiana l’esigenza di diversificazione e di innovazione di prodotto è fortissima, nel momento in cui è difficile e costoso scoprire e lanciare nuove destinazioni, molto più efficace è seguire le innovazioni dei gusti, delle passioni, delle tribù di turisti, anche mediante gli immancabili canali specializzati.
L’unica “nuova frontiera” turistica che ci resta da esplorare e valorizzare è l’Italia di mezzo, quella della natura tutelata, della media montagna, dell’agricoltura di qualità, dei territori dotati di grande e irripetibile identità (come i Gal – gruppo di azione locali – della nuova programmazione europea). E in ogni caso non è ancora stata aperta quella “fabbrica del prodotto” che rappresentava uno dei punti qualificanti del piano strategico nazionale “Italia 2020”. Anche dal lato dell’offerta tradizionale si assiste a un fenomeno di saturazione e “maturità”: per la ricettività alberghiera il minimo storico degli esercizi è già stato toccato (dai 42mila negli anni Ottanta siamo passati ai 33mila di oggi), ed è in atto un processo di riqualificazione che ne spinge verso l’alto le categorie e in prospettiva anche la redditività. L’intermediazione invece è in continua riduzione, sia per quanto riguarda i tour operator (ormai meno di 300) che per le agenzie di viaggi (se ne stimano 8.500 attive) e i loro network (dimezzatisi in cinque anni), alla ricerca di una sempre più spinta digitalizzazione.
Proprio da quel lato vengono le novità più rilevanti, variamente definite come turismo “disruptive” o “sharing economy”. Novità che stanno spazzando come una ventata tutto il mercato, creando un nuovo arcipelago di offerta “non convenzionale”, spesso né imprenditoriale né trasparente in termini giuridici e fiscali.
Ovviamente gli attori “tradizionali” del turismo gridano alla concorrenza sleale o illegale, ma non c’è dubbio che le novità e i vantaggi sono stati accolti bene dalla domanda, che apprezza soprattutto la facilità e la convenienza di acquisto, chiudendo un occhio sulle regole e le tutele. I nuovi soggetti peraltro quasi mai contribuiscono con fiscalità e occupazione all’economia turistica italiana. Non solo per questo motivo, ma anche per i processi di terziarizzazione delle imprese alla ricerca di costi e rigidità sempre minori, le conseguenze sul mercato del lavoro nel turismo sono di segno molteplice. Mentre i dati faticano a seguire e descrivere la realtà, tutti i segnali dicono che di lavoro nel turismo ce n’è sempre di più, ma sempre meno stabile, annuale, a pieno tempo, regolare. Gli strumenti della flessibilità sono infatti al massimo livello di utilizzo proprio nel turismo: dal turn over forzato al part time, dal lavoro intermittente e “a chiamata”, fino alla diffusione dilagante dei voucher. E quindi l’unica prospettiva certa è rappresentata dall’incertezza. Ma, a differenza di altri campi e settori, nel turismo è una incertezza ricca di prospettive e di speranza.

Stefano Landi

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