DOLCETTO-SCHERZETTO, LA VECCHIA TRADIZIONE DELLA CALZETTA

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La leggenda narra che la notte del 2 novembre le anime dei defunti escono in libertà per far ritorno il 6 gennaio, controvoglia, ai loro cimiteri. Per l’occasione s’illuminano le strade ponendo il lumino dentro la zucca svuotata che ripara la fiammella dal vento, e si procura il cibo per imbandire le tavole e nutrire i parenti defunti al loro passaggio. L’ultima notte di libertà, il 6 Gennaio, per evitare perdita di tempo, la più vecchia dei morti, definita comunemente befana, a cavallo di una scopa s’incarica di radunare le anime e procedere, personalmente, alla distribuzione dei doni. I defunti, arrivati nei pressi dei camini dei parenti, destinano ai piccini buoni la calzetta piena di dolci e a quelli cattivi la calzetta piena di cenere e carbone.

Lo scopo di questa tradizione è di rinnovare ai piccini il legame di affetti con i parenti scomparsi. “I morti appartengono a un’altra realtà, il nostro pensiero ridona loro vitalità. Essi non gradiscono pianti, lamenti e cuori affranti. Da mattina a sera si nutrono di sola preghiera. Nel ricordare l’espressione dei loro volti li facciamo partecipare alla nostra vita, come una volta”.

La festa di Halloween “notte delle streghe, dolcetto scherzetto” è stata portata in Irlanda da un nostro emigrante che a undici anni è stato costretto a lasciare l’Italia per aver assistito, involontariamente, ad un omicidio politico. Per salvarsi la vita, perché testimone scomodo, s’imbarcò su un veliero irlandese.

 2  Novembre  “La Calzetta dei Morti”

Tempo fa per questa ricorrenza

si portava rispetto e riverenza

alle persone a lutto

e ai morti innanzitutto.

Ognuno provvedeva ai fiori e al cero

per ornare a festa il cimitero

tornavano i contadini dagli orti

per far visita ai loro morti.

Curvi e stanchi rientravano i cafoni

guidando le bestie coi bastoni

muli cavalli ed asinelli

carichi di legna e carbonella.

Con lo sguardo sincero

e la dentiera disastrata

davano la buona sera

con mezza risata.

Le famiglie li accoglievano unite e composte

ognuno al proprio posto

col camino acceso il lumino sulla finestra

il lardo appeso per condir la minestra.

In un sol piatto si consumavano fave e pancotto

ed era il braciere a far da salotto

fatto di stagno su un tondo tavolato

si appoggiavano i piedi per essere riscaldati.

Teneva unita la famiglia

s’impartivano i consigli

il culto del rispetto

riscaldava il morale e l’affetto.

Intorno a quel fuoco

tutte le donne erano operose

con aghi telai e fusi

preparavano il corredo per le spose.

All’imbrunire si andava in comitiva

a bussare all’uscio del vicino e del parente

a chiedere con voce prepotente

‘’Dammi dammi il pane dei morti se no ti sfascio la porta’’.

Apriva la vecchierella che si privava della scorta

offrendo frutta secca di ogni sorta

e qualche caramella

fatta in casa anche quella.

A letto presto quella sera

per dire tanta preghiera

si diventava umili e buoni

per ricevere ricchi doni.

Ci raccontavano che a portarli

erano i parenti morti

che tornavano puntuali a mezzanotte

tutti liberi e risorti.

Pare che siano stati visti davvero

uscire dal cimitero in fila e in corteo

davanti i piccini dietro i grandicelli

gli adulti e poi  i vecchierelli.

Al mattino si andava in fretta

dietro la porta a ritirar la calzetta

tempo fa non c’era la televisione ma tanta ingenuità

la calzetta piena metteva felicità.

Dante Alighieri e il maestro Saggio, dalla “Divina Commedia” hanno lasciato il messaggio: ”Il comportamento della vita terrena destina le nostre sorti nel regno dei morti, così suddiviso: Inferno, Purgatorio e Paradiso “.  Antonio De Curtis, in arte Totò, dalla ‘’A Livella ‘’ ha lasciato il messaggio ai vivi, attaccati al successo, alla ricchezza e alla vanità, che a nulla servono nell’Aldilà, giacché i morti fanno parte di un’altra realtà. Appartengono al mondo vero della livellata serietà.

La descrizione della vecchia tradizione garganica “La Calzetta”, serve a rinnovare ai più piccini, colmi d’ingenuità, che ricordare i parenti morti si dona Loro vitalità.

Antonio Monte